AGOSTINO GHIRLANDA

AGOSTINO GHIRLANDA

Massa, 1545/1550 circa – Pisa, 1588

Giove e Giunone

olio su tela, cm 104×168

 

Il padre degli dei e sua moglie Giunone, raffigurati distesi in atteggiamento intimo, sono riconoscibili il primo per l’aquila sul quale siede e per i fulmini che impugna, la seconda per il pavone che le è accanto.

Forse nata per fare parte di un ciclo sugli ‘amori degli dei’, come suggerisce lo sguardo che tutti i personaggi rivolgono ad un punto in basso sulla sinistra fuori dal quadro, la tela era verosimilmente destinata ad una collocazione elevata, circostanza consona sia al soggetto ‘celeste’, che al formato e agli scorci dei personaggi.

La figura della dea, raffigurata mentre carezza il capo dell’augusto pennuto, appare ispirata all’arte michelangiolesca, e in particolare alle allegorie realizzate dall’artista per la Sagrestia Nuova di San Lorenzo, quali l’Aurora. Questo dato circoscrive con buona possibilità l’area di realizzazione del dipinto ad un ambito toscano, dove infatti opera l’autore della tela indicatoci da Alessandro Nesi.

Si tratta, afferma lo studioso, di un artista nativo della zona costiera del granducato – Massa o Fivizzano – che ebbe però l’opportunità di visitare Firenze, dove si immatricolò all’Arte del Disegno nel 1586, conoscendo quindi sicuramente anche il capolavoro del Buonarroti.

Ben confacendosi al carattere composito dell’arte del Ghirlanda, la figura del dio, completamente nudo, risulta invece più vicino ad un’orbita di derivazione raffaellesca. Non di rado nei suoi affreschi ritroviamo difatti un gusto scherzoso – nell’opera in esame si veda la testa godereccia dell’aquila accarezzata – che richiama la disinvolta arte dei seguaci dell’Urbinate, quali Giulio Romano o Perin del Vaga. L’opera di quest’ultimo il Ghirlanda l’aveva sicuramente conosciuta, dato che della sua perduta facciata decorata a fresco di palazzo Mazzei a Massa, nell’Ottocento se ne “rintracciava il modello nell’analogo soggetto realizzato da Perin del Vaga nel palazzo Doria di Genova”.

A conferma del gusto licenzioso del Ghirlanda, che secondo Nesi potrebbe avere eseguito questa tela “nella fase matura della sua produzione, negli anni ottanta del Cinquecento”, si conserva un volume con poesie di carattere erotico e amoroso (Firenze, Biblioteca Nazionale, Mss. Palatino 300), testimonianza di un’attività anche letteraria.