Foligno e Assisi, dal 1474 al 1527

San Sebastiano

olio su tavola, cm 78×25

iscrizione sul retro: “L O [Lattanzio Opus?]”

LATTANZIO DI NICCOLÒ DI LIBERATORE

Il pannello, verosimilmente in origine anta mobile di un trittico, si compone di due facce dipinte. Il fronte rappresenta un San Sebastiano legato all’albero, il corpo, cosparso di frecce, atteggiato ad un elegante contrapposto. Nel verso è invece raffigurata un’elegante e fantasiosa decorazione monocroma su fondo rosso cinabro, dichiaratamente ispirata alle antiche decorazioni parietali di gran voga proprio negli anni in cui l’opera fu eseguita. Interessante l’elemento circolare a forma di ruota dentata, un esercizio prospettico, non di origine strettamente romana, che ricorda invece precedenti tipici dell’Italia centrale, ad esempio del mondo urbinate e pierfrancescano.

Gli studi condotti sul dipinto da Alessandro Delpriori e Mauro Minardi hanno concordemente assegnato l’esecuzione dell’opera a Lattanzio, figlio del protagonista della pittura folignate della seconda metà del XV secolo, Niccolò di Liberatore detto l’Alunno. Lattanzio, ricorda Delpriori, “per un certo periodo vero e proprio alter ego del padre” del quale eredita la bottega, “è documentato tra il 1474 […] e il 1523, quando firma e data un’Annunciazione già nella Pinacoteca di Foligno” e ora dispersa.

Tra le opere autonome di Lattanzio, lo stesso studioso ricorda per confronto la Madonna del soccorso di Castel Ritaldi, del 1509, e il San Michele Arcangelo di Palazzo Trinci a Foligno, il cui volto “ancora memore dello stile paterno, ha lo stesso dettaglio del naso illuminato sulla punta del nostro santo martire”.

Per quanto riguarda la datazione, Delpriori propende per una sistemazione nell’attività estrema dell’artista, collocando la sua esecuzione tra il 1525 e il 1530. Minardi invece, che rintraccia un legame ancora forte con le opere del padre Niccolò, anticipa l’esecuzione dell’opera “intorno al 1510-15 circa”, trovando analogie per il verso figurato con le “novità introdotte dal Pintoricchio a Spello” all’inizio del Cinquecento.