ORAZIO DE FERRARI

ORAZIO DE FERRARI

Voltri, 1606 – Genova, 1657

Filemone e Bauci

olio su tela, cm 186,5×212

data: 1640 circa

Lo splendido dipinto rappresenta una scena tratta da “Le Metamorfosi” di Ovidio (VIII, 618-724) il cui episodio narra la vicenda di Bauci e Filemone, vecchi e pii coniugi della Frigia.

Zeus ed Ermes viaggiavano per la regione travestiti da miseri viandanti per metter alla prova la bontà del genere umano; “mille case bussarono (…) mille case sprangarono la porta. Una sola alla fine li accolse” ovvero la povera capanna di Bauci e Filemone, gli unici a dar loro ospitalità e per questo gli unici a salvarsi quando gli dei, per punire l’empietà del genere umano, sommergeranno quella zona.

Il nostro dipinto rappresenta il momento apicale della vicenda, quando i due anziani, sconvolti dal fatto che il “boccale, a cui si è attinto tante volte, si riempie da solo, che da solo il vino ricresce” capiscono di essere in presenza di due ospiti divini.

Il dipinto è opera sicura di Orazio de Ferrari ed è presente nel volume monografico di Piero Donati dedicato al pittore.

Importante esponente del barocco genovese, allievo di Giovanni Andrea Ansaldo, De Ferrari dopo un primo periodo più manieristico vira completamente verso una pittura più naturalistica, dai toni fortemente accesi e votata al realismo grazie alle influenze esercitate su di lui da Gioacchino Assereto (specialmente dopo il soggiorno romano) e ai riverberi che pittori del calibro di Vouet, Velázquez, Gentileschi, Rubens e Van Dyck lasciarono nella città ligure.

Questa svolta nella sua carriera porterà Roberto Longhi ad attribuirgli proprio l’appellativo di “barocco naturalistico” (“Genova Pittrice”, in Paragone, XXX – 1979).

Il nostro quadro è, a questo proposito, esplicativo; si caratterizza infatti per i forti contrasti cromatici, le pennellate nitide e sicure ravvisabili ad esempio, nella splendida resa della schiena di Ermes “investita da una luce violenta, da riflettore, che riverbera sulla tovaglia e sul manto giallo e, di rimbalzo, sfiora il piumaggio portentoso dell’oca che fugge” – come scrive ancora il Donati, che data il nostro quadro attorno al 1651.

Pubblicazioni:

“Orazio De Ferrari”, a cura di Piero Donati, Sagep Libri, Genova, 1997, p. 109.